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Suicidi nelle Forze dell’Ordine, quello che nessuno dice, “all’ordine del giorno indignazione, frustrazione, rassegnazione e disagio finanziario”, parliamone con il dr. Fabrizio Locurcio (Sportello del Poliziotto CONSAP) e il dr. Santo Mazzarisi (psicologo e Vice Presidente Associazione “Il Caleidoscopio”)

Suicidi tra le Forze di Polizia

Suicidi tra le Forze di Polizia

Dr. Locurcio, cosa accade nel triste e delicato panorama dei suicidi tra le Forze dell’Ordine e di cosa si occupa, nello specifico, lo Sportello del Poliziotto della CONSAP?

 

Ho fondato oltre un decennio fa “Lo sportello del Poliziotto”, ovvero un ufficio sindacale  al quale i colleghi possono rivolgersi per le problematiche legate al loro lavoro in relazione all’Amministrazione.
La mia competenza è prevalentemente giuridco-umanistica, ma ho comunque acquisito e sviluppato una elevata predisposizione psicologica ad interpretare le angosce, le ansie e le difficoltà  di quanto spesso affligge il personale che si rivolge al Ns staff. In particolare bisogna sviscerare ciò che veramente crea disagio emotivo tale da indurre al suicidio; tutti conosciamo l’effetto che la crisi ha avuto sui cittadini, tasse su tasse, menage familiare, un reddito che secondo l’Istat è al di sotto di oltre il 30%, senza dimenticare che lo stipendio delle Forze dell’Ordine, secondo un recente studio di comparazione europea, è tra i più bassi dei Paesi dell’Europa Occidentale. Il timore più ricorrente per i colleghi è la sanzione disciplinare, uno strumento a cui, dai recenti dati, emersi dalla Giustizia Amministrativa, l’Amministrazione ricorre troppo spesso! Questo rende inermi ed impotenti, in quanto le misure contenute nei provvedimenti disciplinari, prevedono decurtazioni e sospensione dello stipendio, misura che dura anche per lunghi periodi. Immaginiamo uno stipendio base di un Agente mille, e trecento euro mensili o di un Assistente e/o sottufficiale, circa 1.600 (vuol dire almeno 20 anni di servizio), spesso monoreddito, che deve pagare un mutuo o un affitto, spese di gestione abitazione, spese automobile, spese alimentari, abbigliamento proprio e per la propria famiglia, e non dimentichiamo spese sanitarie e riparazioni varie in casa e per l’automobile; aggiungiamoci anche gli  imprevisti che purtroppo capitano a tutti, e a tutto ciò in una situazione esistenziale già estremizzata, con cui non si arriva a fine mese, si aggiunga la sopportazione determinata dall’incredibile DIGNITA’ che questi EROI di colleghi hanno:, trovano ancora la forza di sorridere e continuare a lavorare rischiando la vita tutti i giorni!  Tutto questo accade all’interno di una famiglia serena ed unita. Adesso immaginiamo i colleghi che hanno difficoltà e quando a quanto sopra enunciato, si aggiungono gravi problemi di salute di genitori e componenti familiari, legge 104 rigettate dall’Amministrazione per difetto di requisiti, separazioni familiari, allontanamento dalla casa coniugale e perdita dei rapporti affettivi con i figli e con il coniuge; spesso sono costretti a dover tornare a vivere in caserma con pochissime centinaia di euro, relegati come emarginati. A questo punto si richiede un prestito per sopravvivere e per pagare la scuola per i figli e spesso non si riesce ad onorare tale prestito, in quanto si ha anche il fido bancario che per eccesso di scoperto o per causa di debitore poco affidabile, viene revocato dall’Istituto bancario, dando così inizio alle procedure esecutive, decreto ingiuntivo, precetti e pignoramento sullo  stipendio…. Sapete che cosa provoca il pignoramento sullo stipendio? L’aver contratto debiti senza averli onorati: fatto assolutamente disdicevole per il Dicastero dell’Interno e che comporta l’apertura d’ufficio di un provvedimento disciplinare!  Questo accade anche alle colleghe donne, in alcuni casi lasciate da sole a crescere i figli con l’ulteriore aggravio di una ancora presente discriminazione femminile. Questo è solo l’inizio di uno dei tanti calvari in cui molti colleghi si dovranno difendere sia in sede civile per gli atti esecutivi del pignoramento, sia nei confronti dell’Amministrazione con la Giustizia Amministrativa, aggiungiamoci altri due o tremila euro di spese legali! A tutto questo si deve sommare un’altra circostanza che pochi conoscono, ovvero che l’appartenente alle Forze dell’Ordine deve rappresentare il cittadino “MODELLO”, non può litigare o rispondere a nessuno anche se provocato, deve dare sempre l’esempio sia in servizio che fuori dal servizio; quest’ultimo è perennemente H24 a lavoro anche se a passeggio con la famiglia di domenica, poiché è sempre obbligato ad intervenire in caso di necessità; soprattutto non può accusare frequenti emicranie o chiedere aiuto per stress da lavoro o per disagi causati dai motivi sopra esposti, pena il deferimento all’Ospedale militare Reparto di psichiatria e ritiro delle armi!  In ultimo non dobbiamo dimenticare lo stress correlato al lavoro (carente organizzazione, mancanza di strumenti, inadeguatezza nella formazione e altri fattori individuali nonchè l’impatto che questo ha sulla loro vita e su quella dei cittadini), l’impotenza di non riuscire ad offrire i servizi necessari per garantire una pacifica e ordinata convivenza sociale, fondamenta essenziali del lavoro degli operatori della sicurezza! E’ovvio che tali fattori sommati non costituiscono il principio assoluto del nesso causale ai frequenti suicidi avvenuti ma certamente contribuiscono da un lato all’aumento dello stress e delle sindromi depressive e dall’altro favoriscono i comportamenti devianti che tutti conosciamo. E’ evidente che a fronte di un disagio intrafamiliare gli aspetti supporto e comprensione sono fondamentali per uscire dal baratro e superare un momento di fragilità emotiva. Un soggetto come l’appartenente alle Forze di Polizia è nell’immaginario collettivo un punto di riferimento, un paladino della giustizia e della tutela dei più deboli, solitamente rappresenta un “superuomo” che non si ammala, non piange, non soffre e non si lamenta. Questo status, a fronte di grandi e reiterate difficoltà familiari e professionali, ingenerano sgomento e frustrazione; isolamento, emarginazione, impotenza e in ultimo rassegnazione. Spesso sentiamo colleghi lamentarsi dell’inapplicabilità delle norme contro i criminali assicurati alla giustizia, della vanificazione degli sforzi di anni di lavoro di indagini e del recente degrado dilagante prodotto dall’assenza di una giustizia sociale; questo costituisce senz’altro un ulteriore disagio non trascurabile se, viene sommato alle problematiche sopra esposte.  Estremamente illuminante per approfondire la piaga dei suicidi nelle Forze dell’Ordine è il testo “Caduti senza l’Onore delle armi” magistralmente scritto dal Dott. Luigi Lucchetti Dirigente Superiore medico della Polizia di Stato; illuminante resoconto dei diversi percorsi suicidari battuti da uomini e donne in divisa, con tematiche trattato con un taglio assolutamente pragmatico. Anche i dati forniti dall’articolo dell’ottobre 2015 di Repubblica di Marco Preve dal titolo “Il male oscuro della polizia: il suicidio prima causa di morte” riporta in una tabella che dal 1999 al 2011, ben 137 poliziotti si sono tolti la vita. Altri 4 sono stati uccisi da terroristi, 6 in conflitti a fuoco con la criminalità, 22 sono stati vittime di infortuni sul lavoro, ad esempio rimanere investiti mentre si rileva un incidente stradale, e 111 sono le cosiddette vittime del dovere, ovvero quegli agenti e funzionari rimasti uccisi in interventi a rischio come il folle che fa esplodere l’appartamento con il gas. Il suicidio è quindi  la principale causa di morte di agenti in servizio. “Un dato che è realistico supporre anche più alto, visto che in alcuni casi e per varie ragioni il suicidio può passare per un decesso di altra natura”. Francesco Carrer è un criminologo che lavora da anni con la polizia italiana, quella francese e l’Unione Europea. Lui e Sergio Garbarino, vicequestore, neurologo e medico della polizia alla Questura di Genova, che hanno appena pubblicato un testo destinato far discutere: “Lavorare in polizia: stress e burn out”.
Dulcis in fundo, la “scarsa attenzione” Istituzionale e governativa in genere sulla “MISSIONE” del poliziotto, che in questi ultimi anni è stato ingiustamente offeso ed umiliato. Non dimentichiamo il precedente governo che definiva alcuni poliziotti più anziani “panzoni”, e qualcuno magari come il Presidente Berlusconi nel 2011 negava la crisi economica poiché gli italiani possedevano un telefono cellulare e andavano al ristorante! Oggi cittadini e poliziotti “il cellulare lo comprano a rate e in pizzeria ci vanno a menù fisso una volta al mese”! Oggi a distanza di anni, un contratto scaduto dal 2009 a fronte di un reddito già ampiamente descritto nei fatti sopra riportati, si offrono 80 euro al Comparto Sicurezza, con i quali è possibile andare a “festeggiare il cospicuo aumento con ostriche e champagne”! Lo Sportello del Poliziotto ha tra i suoi compiti, anche quello di aiutare i colleghi incoraggiandoli  tentando di risolvere alcune vicende che riguardano il loro delicatissimo compito; sono stato personalmente promotore di numerose iniziative per infondere fiducia e autostima a tutti gli appartenenti alle Forze di Polizia, cercando di sensibilizzare le Istituzioni. Tra le più importanti, la realizzazione del monumento dedicato ai caduti delle Forze dell’Ordine, presso Piazza della Libertà a Roma, il 21 novembre 2014, inaugurato alla presenza della Fanfara della Polizia e di tanti colleghi e familiari delle vittime ma con la totale assenza di Istituzioni e cariche dello Stato. Grazie alla sensibilità del Segretario Generale della Consap Dott. Giorgio Innocenzi, la Regione Lazio, su iniziativa dell’On. Michele Baldi è in procinto di approvare la legge della giornata commemorativa dedicata ai caduti delle Forze dell’Ordine che coinciderà con la data del 21 novembre, anche se tutti noi sappiamo che la morte di un collega non fa più notizia!

 

La parola all’esperto, dr. Santo Mazzarisi psicologo Vice Presidente Associazione “Il Caleidoscopio”.

Dr. Mazzarisi, cosa pensa Lei e la Sua Associazione del fenomeno suicidi?

 

Se qualcuno uccide qualcun altro è definito “omicida”, se qualcuno è ucciso da qualcun altro è detto “vittima”, se qualcuno uccide sé stesso è detto “suicida”. Quest’ultimo termine sembra facilmente nascere dalla analogia con il primo termine (omicida), indicando colui che uccide sé stesso. Nonostante la chiarezza linguistica, nasce una riflessione legata al fatto di  presentare in prima battuta colui che si uccide come “chi commette” un atto di violenza e non chi è “vittima” del proprio gesto. Davanti a questa ipotesi la nostra mente fatica infatti a considerare una vittima chi si uccide, considerando più il male che reca a chi rimane (familiari, partner, figli) piuttosto che al male che si è subito.
Ma si può essere “vittima” e “omicida” allo stesso tempo?
Per uscire fuori dalle categorie linguistiche forse ci può essere utile capire come si arriva a mettere in atto un gesto così estremo. A parte le situazioni di fanatismo religioso o politico, il DSM-V, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, definisce che i fattori ambientali scatenati il comportamento suicidario possono essere: l’essere venuti a conoscenza di recente di una condizione medica potenzialmente fatale, l’esperienza della perdita improvvisa e inaspettata di un parente stretto o del partner, la perdita del lavoro o il trasferimento dalla propria abitazione. Altri fattori descritti nella letteratura scientifica sono le separazioni coniugali, le gravi difficoltà economiche, problematiche familiari, isolamento fisico ed emotivo. La comorbilità con una varietà di disturbi mentali, tra cui il disturbo bipolare, il disturbo borderline, il disturbo depressivo maggiore, il disturbo da uso di sostanze e i disturbi di ansia associato a contenuto catastrofico e Disturbo da Stress Post Traumatico, delineano un quadro prognostico del suicidio molto ampio e non sempre facilmente prevedibile. Diversi studi hanno permesso di identificare molteplici fattori di rischio del comportamento suicidario, tra loro interagenti. Tali fattori hanno un effetto cumulativo, un ruolo e un peso diverso a seconda delle varie fasi e dei periodi evolutivi, degli eventi scatenanti (life-events), delle caratteristiche di personalità e del particolare ambiente di vita di una persona.
Pertanto la domanda iniziale può avere una risposta se si analizza in che modo l’economia psichica della persona gestisce le variabili ambientali, quali sono le risorse che ha attorno e che possono aiutarlo a trasformare l’ideazione suicidaria da una possibile disperata soluzione ad un campanello di allarme a cui prestare la massima attenzione. Ciò che risulta importante dagli studi effettuati anche da  A.T. Beck è quello di strutturare interventi che possano agire a più livelli sull’idea di hopelessness (mancanza di speranza), ovvero la mancanza di apprezzamenti sul presente, un sistema cognitivo di aspettative negative, di scarsa considerazione di sé, spesso rinforzato dallo stesso contesto sociale e da scarse relazioni interpersonali. L’intervento in tal senso è a più livelli, dalla costruzione di una rete amicale, sociale e lavorativa capace di fornire ascolto alle difficoltà, al sostegno terapeutico medico e psicologico, con l’obiettivo comune di aiutare la persona a sentirsi sostenuta, ma anche a incoraggiarla verso percorsi di autonomia e di ripresa, migliorando positivamente le proprie aspettative di vita e del proprio futuro.