Attacchi di Panico, Fobie e Disturbo da Stress Post-Traumatico: un punto di chiarezza. Parliamone con il dr. Santo Mazzarisi (psicologo e Vice Presidente Associazione “Il Caleidoscopio”)


Dott. Santo Mazzarisi Psicologo Clinico – Psicoterapeuta – Terapeuta E.M.D.R. Vicepresidente Associazione Il Caleidoscopio
In questo articolo per la rubrica “Cultura & Conoscenze”, continua l’approfondimento sulla tematica di psicologia e studio dei comportamenti umani nei vari aspetti. Abbiamo chiesto un nuovo contributo al dr. Santo Mazzarisi dell’Associazione “Il Caleidiscopio” con cui la CONSAP ha attivato ormai da tempo una convenzione.
Parliamo stavolta di Attacchi di Panico, Fobie e Disturbo da Stress Post-Traumatico.
Paure, timore, ansie sono emozioni che esprimono situazioni di disagio che a volte vengono letti dall’individuo e dalle persone vicine inserendole in categorie diagnostiche che non sempre corrispondono al reale disagio della persona.
La nosografia ufficiale espressa nel DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) indica il termine panico e fobia dentro nell’alveo dei Disturbi di ansia e, pur essendoci delle strette correlazioni, in realtà manifestano diversi sintomi e diverse eziologie, per cui vanno attentamente diagnosticate per poter intervenire in maniera specifica ed adatta. Altra cosa è il PSTD inquadrato tra i disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti ed è caratterizzato da sintomi tipici che seguono l’esposizione a uno o più eventi traumatici.
La Fobia specifica si manifesta in presenza di paura o ansia marcate verso oggetti, animali o situazioni specifiche (volare, andare in macchina, vedere sangue ecc..) che possono essere definiti lo stimolo fobico. Per una corretta diagnosi della fobia specifica occorre che lo stimolo fobico o la situazione provochino quasi sempre ansia o paura (avere paura 1 volta su 5 di volare non è una fobia ma una paura contingente). La persona fobica evita accuratamente la situazione in modo da prevenire o ridurre al minimo l’impatto con le situazioni e gli oggetti fobici (ad esempio non andare dal medico per paura di vedere il sangue). Inoltre la paura e l’ansia sono sproporzionate rispetto al reale pericolo rappresentato oppure più intense del necessario, sovrastimando il pericolo delle situazioni temute, pur riconoscendo le proprie reazioni come eccessive e spropositate. Sempre per una corretta diagnosi occorre valutare che ansia, paura e evitamento devono persistere per un periodo di 6 mesi o più, per distinguere il disturbo dalle paure transitorie comuni nella popolazione, ed in particolare nei bambini. Infine la fobia specifica deve causare disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
Altra forma di disturbo d’ansia sociale è invece la Fobia sociale che ha come focus di ansia e paura le interazioni sociali, l’essere osservati, ed eseguire una prestazione di fronte ad altri.
Una definizione etimologica di ciascun tipo di fobia si può avere separando il suffisso-fobia, (dal greco phobos che significa paura e si richiama il dio Fobo, portatore di spavento e terrore), dal termine che lo precede, che indica normalmente un oggetto, un evento, uno stimolo, una percezione (ragno, altezza, piazza, spazi chiusi, tomba, malattia, ecc.) che rappresenta la fonte della paura; ad esempio: aracnofobia, acrofobia, agorafobia, claustrofobia, tafofobia, nosofobia, ecc.
Panico: i disturbi di panico sono riferiti ad intensi e ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Un attacco di panico consiste nella comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti durante il quale si manifestano quattro o più di 13 sintomi fisici e cognitivi attesi: palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia; sudorazione; tremori fino a grandi scosse, respirazione alterata o sensazione di soffocamento; sensazione di asfissia; dolore o fastidio al petto; nausea o disturbi addominali; sensazione di vertigine, di instabilità, di “testa leggera” o di svenimento; brividi o vampate di calore; sensazione di torpore o formicolio; sensazione di irrealtà, o essere distaccati da se stessi (depersonalizzazione); paura di perdere il controllo o di impazzire; paura di morire. La frequenza e la gravità degli attacchi di panico sono molto varie. Possono esservi attacchi moderatamente frequenti (ad es. una volta la settimana) che si manifestano regolarmente per mesi oppure brevi serie di attacchi che si presentano anche tutti i giorni. I timori relativi agli attacchi di panico e alle loro conseguenze riguardano solitamente le preoccupazioni fisiche (il timore di avere una malattia non diagnosticata), le preoccupazioni sociali (il timore o l’imbarazzo di essere valutati negativamente dagli altri) e le preoccupazioni sul proprio funzionamento mentale (paura di impazzire e di perdere il controllo).
Tra i fattori di rischio e di prognosi per il disturbo di panico vengono individuati fattori temperamentali (predisposizione a esperire emozioni negative e sensibilità all’ansia, cioè la disposizione a credere che i sintomi dell’ansia siano nocivi; fattori ambientali ( esperienze di abuso sessuale e fisico nell’età infantile, il fumo di sigaretta, eventi stressanti interpersonali ed eventi stressanti legati al benessere fisico, come esperienze negative con sostanze illecite o prescritte, oppure morti in famiglia); fattori genetici e fisiologici (gli attuali modelli dei circuiti neuronali per il disturbo di panico sottolineano il ruolo dell’amigdala e delle strutture collegate, mentre non risultano geni esatti che possono conferire una vulnerabilità per il disturbo di panico, e riferiscono invece la correlazione tra problemi respiratori come l’asma al disturbo di panico).
Le conseguenze del disturbo sono associate ad alti livelli di disabilità sociale, lavorativa e fisica.
Il disturbo da stress post-traumatico si caratterizza per lo sviluppo di sintomi tipici alla esposizione a uno o più eventi traumatici. La manifestazione clinica è variabile: in alcuni individui è predominante rivivere con paura i sintomi emotivi e comportamentali, per altri possono creare sofferenza gli stati d’animo e i pensieri negativi, altri ancora mostrano una preminenza di sintomi di iperattivazione e mentre in altri sintomi dissociativi. Caratterizzante la comparsa del disturbo è l’esposizione diretta all’evento traumatico o aver assistito direttamente ad un evento traumatico accaduto ad altri, venire a conoscenza di un evento traumatico accaduto a un membro della famiglia o a un amico stretto, fare esperienza ad una ripetuta esposizione a dettagli crudi dell’evento traumatico (per es. i primi soccorritori che raccolgono resti umani, agenti di polizia ripetutamente esposti a dettagli di abusi su minori). Per una corretta diagnosi occorre verificare la presenza di pensieri intrusivi associati all’evento traumatico (ricorrenti ricordi e sogni spiacevoli il cui contenuto è collegato all’evento traumatico; reazioni dissociative in cui si ha la sensazione che l’evento si sta ripresentando; intensa e prolungata sofferenza psicologica e marcate reazioni fisiologiche all’esposizione a fattori scatenanti che rimandano all’evento traumatico), verificare la presenza di evitamento persistente degli stimoli associati all’evento traumatico (evitare ricordi ed evitare persone, luoghi, attività, conversazioni che suscitano ricordi spiacevoli), alterazioni negative del pensiero e delle emozioni associate all’evento traumatico ( incapacità a ricordare, considerazioni negative su stesso e il mondo, persistente stato emotivo negativo), e infine verificare la presenza di marcate alterazione dell’arousal e della reattività associati all’evento traumatico ( comportamento irritabile, spericolato e autodistruttivo, ipervigilanza, problemi di concentrazione ecc..).
I sintomi di un DSPT si manifestano in genere nei primi tre mesi dopo il trauma ma può esservi un “esordio ritardato” che nel DSM V viene definito “espressione ritardata”.
Da un recente studio emerge che nonostante siano continuamente esposti a esperienze potenzialmente molto traumatiche, gli agenti di polizia hanno un rischio di PTSD (disturbo post traumatico da stress) inferiore a quello del resto della popolazione.
Lo studio pubblicato dall’ Institut de recherche Robert-Sauvé en santé et en sécurité du travail (Quebec) nel 2011 fa parte di una indagine sui fattori di rischio e di protezione allo stress traumatico negli agenti di polizia. Tra i partecipanti alla ricerca, il 64% ha dovuto estrarre la pistola durante il servizio, 11% ha dovuto sparare, mentre il 28% ha usato un’altra arma. L’ 80% degli agenti di polizia ha sperimentato senso di impotenza, e il 59% ha provato un’emozione di intensa paura. Più della metà degli agenti di polizia ha dichiarato di aver provato rabbia, il 17% colpa, e il 2% vergogna durante l’esperienza traumatica.
Il rischio di sviluppare sintomi tipici del PTSD può essere evitato o attenuato grazie a specifici interventi di supporto e elaborazione critica dell’evento da effettuare nelle settimane successive all’esperienza traumatica. I risultati della ricerca rivelano che il supporto sociale tra colleghi, la possibilità di condividere con gli altri le emozioni legate all’esperienza traumatica e il partecipare ad attività ricreative, sembrano essere gli elementi di protezione e prevenzione più importanti rispetto al rischio di sviluppare un PTSD.
I risultati di questo studio potrebbero essere significativi anche per altre figure professionali con un rischio elevato di esperienze traumatiche sul luogo di lavoro, come vigili del fuoco, paramedici, soccorritori in situazioni di emergenza.
La terapia d’elezione per il Disturbo da Stress Post-Traumatico è ormai accreditato che sia l ’EMDR , acronimo dall’inglese per “Eye Movement Desensitization and Reprocessing” tradotto in italiano: Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i movimenti oculari, una metodologia terapeutica che ha ampia validazione scientifica per il trattamento del disturbo Post-Traumatico da Stress e che agisce depotenziando la portata negativa delle memorie emotive legate al ricordo dell’evento traumatico per ri-trasformali e lasciare “il passato nel passato” come dice la teorica del metodo, la dott.ssa Francine Shapiro, e creando nuove connessioni neuronali più adattive per la persona.
Pertanto ricercando una eziologia traumatica alle fobie, al panico e al PTSD, è chiaro che riguardo al disturbo Post-Traumatico da Stress l’origine traumatica è strettamente connaturata e fondante del disturbo stesso mentre riguarda al Panico e alle Fobie sembra che si può parlare di esperienze traumatiche sia per quello che riguarda l’esperienza scatenante, sia l’ansia anticipatoria, sia la paura del panico stesso e di incorrere in una situazione fonte di panico o di fobie.
Pertanto il panico può costituire di per sé un’esperienza traumatica in quanto le sensazioni riferite da ogni paziente che abbia vissuto almeno un attacco sono quelle di “una forte paura, incontrollabile, che lascia la persona inerme”, accompagnata dalla percezione di perdere il controllo o di stare per morire.
L’intervento pertanto per il disturbo di panico può essere modulato in modo da elaborare il ricordo degli attacchi di panico (il primo, il peggiore, l’ultimo); elaborare le situazioni scatenanti legate al panico nel presente; sostenere e rafforzare una prospettiva futura adattiva per affrontare situazioni legate ai sintomi.
Sia per il panico sia per la fobia è utile proporre un intervento con cui rielaborare esperienze traumatiche pregresse, spesso collegate all’esordio della sintomatologia.
Dott. Santo Mazzarisi
Psicologo Clinico – Psicoterapeuta
Terapeuta E.M.D.R.
Vicepresidente Associazione Il Caleidoscopio
Via del Castro Pretorio 30 Roma